TITOLO ORIGINALE: The Lords Of Salem
REGISTA: Rob Zombie
ANNO DI USCITA: 2012
DURATA: 101’
PAESE: USA/Gran Bretagna/Canada
VOTO: 75
Un
disco, un libro e un film usciti in meno di un mese, e tutti firmati Rob
Zombie. Se esiste un individuo meritevole dell’etichetta di artista poliedrico,
be’, questo è proprio il metaller del Massachusets, nato Robert Bartleh
Cummings. Il libro, del quale ci occuperemo a giorni, altro non è che una
versione estesa e romanzata del soggetto alla base del film qui recensito, che
segna il ritorno dietro la macchina da presa dopo quasi quattro anni dal
controverso Halloween II.
Ancora
una volta, l’assoluta protagonista è la sola musa di Rob, la moglie Sheri Moon,
stavolta nei panni di una rockettara ultra-trentenne dal passato difficile.
Heidi lavora in una radio di Salem, dove conduce un programma radiofonico di
discreto successo. Vive col suo cane ed è una ex tossicodipendente. Dread e
improbabili pellicce ecologiche, portate sopra vestiti multicolor dal sapore
hippy, caratterizzano il suo look. Il suo appartamento, pieno di omaggi al
cinema ed alla musica, si trova in un elegante edificio dove vive una donna di
nome Lacy che sembra avere particolarmente a cuore Heidi. Un prologo incompiuto
introduce l’epoca e l’episodio per i quali Salem è salita alla ribalta della
cronaca: la caccia alle streghe del diciassettesimo secolo. Un gruppo di
streghe tenta di dar vita al figlio di Satana, ma viene scoperto nel corso di
un sabba. Tutte le streghe verranno arse vive e la loro leader, Margaret
Morgan, verrà torturata con sedia e maschera chiodate prima di essere anch’essa
uccisa.
Al
giorno d’oggi, dopo aver tratteggiato la vita di Heidi, la trama prende il via
con l’arrivo in redazione di un vinile contenuto in una scatola in legno
indirizzata proprio alla ragazza. La trasmissione del pezzo provocherà reazioni
contrastanti: gli uomini sembrano infastiditi dalla musica, dissonante,
ripetitiva, ritualistica, mentre le donne di Salem ne sono istintivamente
attratte, in maniera ipnotica. E’ come se quelle poche note fossero in grado di
prendere possesso della loro anima. La stessa Heidi non ne è immune, anzi:
proprio da quel momento in avanti, inizierà a vivere un vero e proprio incubo,
caratterizzato da visioni, “terrore nel sonno”, sonnambulismo, allucinazioni
agghiaccianti. Perde il contatto con la realtà, preda di forze che sembrano
controllare tutto ciò che la circonda. E che prendono il controllo anche di
lei. Con buoni incastri di sequenze visionarie e di ritorni alla realtà, lo
spettatore vive assieme ad Heidi uno stato di confusione crescente, spaesato da
situazioni paradossali, per poi vivere il malessere finale, in un’orgia di
colori, musica e immagini fortemente anti-clericali.
Rob
Zombie definisce Le Streghe Di Salem come “Shining diretto da Ken Russell”. Non
ha tutti i torti. Da Russell prende qualcosa in termini di costruzione
dell’immagine, di uso del colore, di potente visionarietà, arricchendo il tutto
con uno sfrontato barocchismo che rende il film un’esperienza visiva
notevolissima; Shining è altresì presente, per via dei corridoi, dei carrelli
dalla lentezza esasperante, della stanza misteriosa e temuta. Rompe tutti gli
schemi, Rob: spezza con la tradizione del cinema horror americano
contemporaneo, che ripudia quasi sempre la lentezza in nome di un ritmo veloce
e da altrettanto rapido consumo; rompe gli schemi narrativi destrutturando una
non-storia in una sequenza di scene allucinanti - indimenticabile rimarrà la
scena del prete in chiesa, addirittura meravigliosa quella finale, paradisiaca
al contrario.
Il
regista americano infila a forza nel film il suo attore feticcio Sid Haig, in
un ruolo totalmente marginale, ed una sfilza di scream queens, alcune assenti
dalla scena da anni. La realtà è che molto materiale, in alcuni casi intere
partecipazioni, è stato tagliato, pertanto non figurano ad esempio Camille
Keaton, la Jennifer di I Spit On Your Grave, e Udo Kier. Ritroviamo Lisa Marie
(Il Mistero Di Sleepy Hollow) undici anni dopo la sua ultima apparizione sul
grande schermo. Ma soprattutto c’è Meg Foster (Essi Vivono) a dominare ogni
scena in cui è presente per via di un alto tasso di malvagità e follia. Impagabile
il disprezzo che mostra nei confronti del neonato, diverso da ciò che si
aspettava, dopo averlo leccato.
La
caratterizzazione del male non si limita e non si può limitare alle streghe.
Queste ultime vengono dipinte in maniera sporca, volgare, totalmente devote al
maligno. Il loro compito è evocare Satana e il loro obiettivo è dare un figlio
al signore del male. Satana stesso compare, in una rappresentazione davvero
curiosa e lontanissima dall’iconografia classica, finendo per essere ridicolo.
Una colonna sonora non particolarmente ricca e invadente, ma di buon gusto
(Venus In Furs dei Velvet Underground, musica classica), cesella i passaggi meno onirici del
film, sottolineati invece da suoni ed effetti vibranti. La critica
anti-clericale è feroce e volgare, fin troppo, finendo per apparire posticcia e
infantile. Un finale caotico degno sì di Ken Russell, ma sotto acidi, fa tirare
le fila e rendere conto di come alcuni passaggi logici della trama siano
mancanti, aspetto che ho avuto modo di poter valutare avendo letto in
precedenza il romanzo. Manca ad esempio una chiara esposizione delle
motivazioni delle streghe e come si leghi esattamente l’episodio del 1696 coi
nostri giorni; il ruolo dell’autore del testo sulle streghe viene sminuito,
nonostante abbia addirittura più presenza rispetto al libro, perché manca
all’appello una parte sostanziosa delle sue scoperte, anche per via della
scelta di tagliare alcuni passaggi. E soprattutto, il finale vede l’assenza di
una sequenza che avrebbe potuto rendere tantissimo dal punto di vista visivo. A
dirla tutta, è poco chiaro anche cosa stia accadendo di preciso durante il
preannunciato concerto.
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